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mercoledì 11 novembre 2009

Il mito della donna selvaggia

semaforo_danza
















"La mia generazione, quella del dopoguerra, è
crasciuta in un' epoca in cui la donna era
trattata come una bambina e coma una proprietà.
Era tenuta come un giardino incolto...ma per
fortuna qualche seme selvaggio arrivava sempre, portato dal vento.

Sebbene quel che le donne scrivevano non fosse autorizzato,
comunque esse continuarono a diffonderlo. Sebbene
quel che dipingevano non ottenesse alcun riconoscimento,
comunque nutriva l`anima.
Le donne dovevano implorare per ottenere gli strumenti e gli spazi necessari alle loro arti, e,
se nulla era loro concesso, trovavano il loro spazio
negli alberi, nelle caverne, nei boschi, e perfino nei gabinetti.
La danza ara appena tollerata, forse, e perciò
danzavano nella foresta, là dove nessuno
poteva vederle, o nel seminterrato, o mentre
andavano a buttare la spazzatura ....
Era un'epoca in cui i genitori che abusavano
dei figli erano semplicemente detti "severi", in
cui le lacerazioni spirituali delle donne abusate
in profondità venivano definite "esaurimenti
nervosi", in cui le ragazze e le donne
strettamente fasciate, strettamente sorvegliate,
strettamente imbavagliate, erano dette "brave
ragazze", e quelle altre femmine che cercavano
di sfilarsi par un attimo o due il collare erano
marchiate come "cattive". . .
Non ho dimenticato il canto di quei giorni
oscuri, Hambre del alma, di fame dell'anima
Ma neanche ho dimenticato il
gioioso, Canto hondo, il canto profondo,
le parole che tornano a noi, quando facciamo
opera di rivendicazione con l'anima...

(Brano tratto da "Donne che corrono coi lupi- Il mito della donna selvaggia"
di Clarissa Pinkola Estès - Ed. It. Frassinelli)

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